“Il sentiero dell’architettura porta nella foresta” di Maurizio Corrado (Franco Angeli, Milano 2012) è un invito a riflettere sulle nostre origini come Homo Sapiens, a ritrovare il rapporto simbiotico che avevamo con la natura e con lo spazio esterno, a ricercare l’essenzialità negli spazi che viviamo a cominciare dal nostro comportamento nelle piccole azioni quotidiane.

Proponendo un excursus trasversale che abbraccia più discipline, dal pensiero scientifico all’antropologia, dalla storia alla religione, dalla cultura del rito e del mito alla simbologia, Maurizio Corrado fornisce al lettore le basi per comprendere la sua opinione e il suo sognodi una nuova architettura ecologica. “Noi siamo fatti per stare fuori e per muoverci”. Così l’autore porta avanti l’ipotesi che il modello mobile sia alla base del nostro essere e che sia finalmente iniziata una fase in cui possiamo riprenderci la nostra vera natura mobile.

Nei primi capitoli l’autore racconta in modo più che esaustivo la nostra storia evolutiva. Noi, come Homo Sapiens, siamo comparsi sulla Terra almeno 150.000 anni fa, abbiamo vissuto come cacciatori e raccoglitori nomadi per 140.000 anni e solo 12.000 anni fa, con la scrittura e l’agricoltura, si è avviata una lenta trasformazione che ha cambiato le nostre abitudini e il nostro modello comportamentale. Da nomadi siamo diventati sedentari. Abbiamo cominciato a costruire villaggi, città e a definire la società di cui facciamo parte.

Per gran parte del nostro percorso evolutivo (circa 9/10 della vita dell’Homo Sapiens) abbiamo abitato foreste, praterie e deserti, in intima connessione e in simbiosi con quella che oggi è chiamata, in modo inflazionato, Natura.

Natura vuol dire piante, vegetazione. Se pensiamo che il 99,5% degli esseri viventi sulla Terra sono piante e solo una parte dello 0,5 % che rimane siamo noi esseri umani, risulta evidente l’importanza che queste hanno nella caratterizzazione del nostro habitat naturale.

Negli anni ’70 e ancor più negli anni ’90 si assiste ad una grande novità: il modello mobile si impone di nuovo nelle nostre abitudini dal punto di vista fisico e mentale. L’esigenza della rapidità degli spostamenti e soprattutto l’arrivo di internet hanno trasferito il nomadismo alla dimensione virtuale portandoci nell’era tecnologica e in quella della città liquida.

In che misura questi dati riguardano l’architettura? In che modo sta cambiando il nostro modo di abitare?

L’elemento vegetale è stato a lungo considerato un servizio al costruito. Si è sempre parlato infatti di verde ornamentale e arredo urbano, intendendo il verde come qualcosa di accessorio e di superfluo. Qui si inserisce la proposta concreta e fattibile dell’autore: “cambiare la prospettiva con la quale abbiamo finora considerato il verde. Invertire i ruoli: è l’architettura ad essere un servizio e il verde, o meglio l’esterno, il nostro reale luogo dell’abitare. … E’ un cambiamento che coinvolge agricoltura, alimentazione, architettura, paesaggio, design.. .Si tratta di andare oltre l’idea di verde come ornamento, concependo l’elemento vegetale esattamente come si concepisce un qualsiasi materiale da costruzione. … La vegetazione sta tornando nelle città da protagonista attraverso nuove e antiche tecnologie, giardini pensili, verde verticale, biopiscine, serre bioclimatiche, costruzioni in bambù, paglia, terra cruda e attraverso le miriadi di azioni che usano le piante come elemento primario”.

Grazie alla rete sta cambiando nuovamente anche il concetto di casa. Fino alla metà dell’Ottocento la casa era spazio domestico e luogo di lavoro. Con l’industrializzazione il lavoro esce dalle mura domestiche per essere circoscritto alla fabbrica e lasciare alla casa le funzioni di luogo dove dormire e mangiare. Negli anni ’90, con la rete, il lavoro torna nello spazio domestico e la casa riprende ad essere il luogo in cui trascorriamo gran parte del nostro tempo.

Comprendiamo quindi come “il problema della casa sia la casa”: vivere in un interno è nocivo, crea patologie e disturbi perché l’interno non è il nostro habitat naturale. Come limitare i danni che subiamo quando siamo costretti a “stare dentro”? Quando si fa architettura sostenibile non si parla solo di risparmio energetico in senso strettamente economico e ambientale ma di benessere dell’uomo. L’autore chiude il saggio con una proposta per progettisti e designers: mettete il verde al centro dello spazio che immaginate. Aumentate la presenza delle piante negli oggetti che create e negli spazi interni che progettate facendovi entrare l’esterno. Concepite gli edifici stessi come degli esterni, pensandoli come piante, in rapporto diretto con sole, aria, tempo.

“La città che ne deriva tende a portare dentro di sé la foresta, non costruendo altri giardini ma togliendo il confine tra spazio della natura e spazio del costruito”.